La
pelle "è un dato originario di ordine organico e nello stesso
tempo di ordine immaginario, come sistema di protezione della nostra
individualità e, contemporaneamente, come strumento e luogo di
scambio con gli altri"
(D. Anzieu).
(D. Anzieu).
La
gente, a mio parere, può essere conosciuta in due grandi gruppi: quelli
che abbondano di abbracci. E quelli che, invece, no.
Ci
sono persone che, mentre ti parlano, ti avvolgono di parole e di
contatto; per sottolineare il loro connaturato calore, ti sfiorano le
mani, ti afferrano il braccio appena sopra il gomito, ti tirano la
manica, ti battono pacche sulle spalle, non disdegnando, sovente,
buffetti sulla nuca e pizzicotti. Di solito, quando ti incontrano (e
quando si congedano da te, in un unico immenso slancio tattile senza
inizio né fine), queste persone ti avviluppano in un sonoro
abbraccio. Sonoro, sì, perché se gli abbracci facessero rumore
sarebbe tutto un crocchiare e un tintinnare.
Questi
sono gli uni.
Poi
ci sono gli altri.
Quelli
schivi, ai quali i polpastrelli e l'intera superficie corporea
pongono problemi, talvolta insormontabili. Perché nella vita di
tutti i giorni, ahimè, c'è sempre qualcuno che potresti dover
toccare. Eccoli lì, gli ipersensibili. Quelli che sull'autobus sono
così consapevoli di star sfiorando il polso del tizio in piedi
accanto a loro, da arrossire. E che, quando camminano per strada,
hanno sempre bisogno di una buona distanza, un confine di silenzioso
nulla tutt'intorno, ché non si sa mai, potresti incappare in una
nocca, un malleolo, un ginocchio, una mandibola, essendo gli altri
esseri umani così ridondanti negli spigoli.
Sono
gli stessi che, quando qualcuno li abbraccia, hanno un'istintiva
reazione vegetale: diventano rigidi, verdi (o bianchi, a seconda
della stagione) e, potendolo fare, sprofonderebbero silenziosamente
di una decina di centimetri nel terreno.
E
io?
Io
da piccola mi addormentavo solo sulla pancia di mia mamma, beandomi
di tanta soffice abbondanza di pelle, contatto e calore. Avevo tutte
le carte in regola per essere super crocchiante.
Ma
la beata vita del marsupiale non è consentita a una normale
quattrenne. Bisogna reinventare l'addormentamento,
tenendo sotto il naso un batuffolo di cotone e succhiandomi il
pollice.
E il peggio doveva venire. La vita sociale inquadrata e fruttuosa, prima o poi ti obbliga a cedere il passo.
Via il dito e il batuffolo, non avevo più molte difese nell'andare per il mondo, solo il mio tatto e la mia pelle, un tantino ipersensibile. A quel punto tutti mi sembravano troppo pieni di spigoli. Nata crocchiante e tintinnante, eccomi lì, trasformata in un'adolescente sedano.
E il peggio doveva venire. La vita sociale inquadrata e fruttuosa, prima o poi ti obbliga a cedere il passo.
Via il dito e il batuffolo, non avevo più molte difese nell'andare per il mondo, solo il mio tatto e la mia pelle, un tantino ipersensibile. A quel punto tutti mi sembravano troppo pieni di spigoli. Nata crocchiante e tintinnante, eccomi lì, trasformata in un'adolescente sedano.
C'è
di buono che la vita (è sublime certezza), ti pone sempre davanti al
cambiamento.
E
cambiamento significa, a conti fatti, che le cose possono sempre
trasformarsi. Anche l'una nell'altra.
Così
una persona ridondante di abbracci può, ad un certo punto, ritirarsi
silenziosa in sé stessa senza toccare nessuno, come il mare a Mont
San Michel.
Allo
stesso modo, una persona che cammina sempre sul marciapiede opposto
all'umanità può, se è il caso, lanciarsi a ballare un čoček a
piedi nudi intorno ad un falò.
Grazie
a questa fortuna, i miei polpastrelli hanno imparato ad essere schivi o
ridondanti, la mia pelle ad esplorare il mondo, oppure a ritirarsi a
meditare nel suo guscio.
Si
può sempre fare. A giorni alterni, ad esempio.
Gustare
a modo proprio la magia del contatto con le cose, guardando il mondo
schiudersi come un piccolo uovo di tartaruga. Con una una meraviglia
priva di parole, oppure allungando una mano, a sfiorarlo.
Con
queste riflessioni in punta di dita, e convinta (per tutti i motivi
che ho elencato) che il toccare e il sentire a pelle siano davvero
opera poetica quotidiana, mi sono messa al lavoro su questa serie di
immagini. Mentre aspettavo che nascesse Olivia, la mia prima figlia, chiedendomi se lei avrebbe dormito volentieri sulla mia pancia e come
sarebbe stato il nostro primo contatto nel mondo di fuori.
[Ho
scritto anche tre piccoli testi poetici che accompagnano le tavole tattili,
ma questi sono una mia interpretazione. Chiunque le tocchi e le guardi, sono certa, potrà trovare e seguire una sua
riflessione e un suo significato. Se
dovessimo finire sullo stesso autobus, magari, ci sediamo vicini a
parlarne.]
I. rêverie
ti cerco
dove sei?
sei qui,
sono qui.
sono.
II. dialogo
se tu,
se io.
siamo intenzione
ritmo
battito
temperatura
[silenzio]
ascolta.
ti ascolto.
III. assenza
solo.
è freddo.
nel vuoto
germoglia
la soglia,
si apre
sul mondo.
[testi e illustrazioni di estella guerrera]
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